Per molto tempo si è creduto che la nostra galassia, la Via Lattea, rappresentasse l'intero universo.
Ma, grazie all'astronomo Edwin Hubble, si dimostrò che ciò non era del tutto vero; infatti l'astrofisico, oltre a scoprire nuove galassie, elaborò un metodo di misurazione indiretta per il calcolo delle distanze tra la Via Lattea e le altre galassie.
Inizialmente Hubble affermò che la luminosità apparente di una stella dipende da due fattori: la luminosità reale (quantità di luce che emette) e la distanza che la separa da noi.
Lui ricavò la luminosità reale per le stelle vicine e notò che alcune di esse presentavano lo stesso valore.
Perciò pensò che se avessimo trovato altre stelle dello stesso tipo, appartenenti però ad altre galassie, potevamo conferire a queste gli stessi valori di luminosità reale, conoscendo poi la loro distanza.
Grazie a questo metodo, Hubble calcolò la distanza di ben 9 galassie.
Successivamente gli astronomi iniziarono ad analizzare gli spettri di stelle appartenenti ad altre galassie.
Ricordiamo che dallo spettro di una stella è possibile ricavare la sua temperatura e i colori mancanti (righe di assorbimento) dai quali si stabiliscono gli elementi presenti nella loro atmosfera.
Quindi, attraverso queste analisi, gli astronomi notarono che gli spettri erano spostati, di una medesima quantità relativa, verso l'estremo rosso ovvero tutte le galassie si stavano allontanando da noi.
In seguito Hubble scoprì che l'entità dello spostamento verso il rosso cresceva all'aumentare della distanza, quindi più una galassia era lontana, maggiore era la sua velocità di allontanamento.
La scoperta dell'universo in espansione fu una delle più importanti del XX secolo e gli astronomi ipotizzarono anche che, se la velocità di espansione fosse stata molto alta, la forza di gravità non sarebbe mai riuscita a fermarla, portando l'universo ad espandersi in modo continuo.
Nessun commento:
Posta un commento